sabato 22 novembre 2014

Dai testi del nostro Padre tra i Santi Colombano Irlanda c. 525-530 - Bobbio, Piacenza, 615



mosaico nel Battistero di Albenga - Liguria, del VI secolo

Dai testi del nostro Padre tra i Santi Colombano  Irlanda c. 525-530 - Bobbio, Piacenza, 615



Colombano è uno dei rappresentanti del mondo monastico che danno origine a quella 'peregrinatio pro Domino', che costituì uno dei fattori dell'evangelizzazio ne e del rinnovamento culturale dell'Europa. Dall'Irlanda passò (c. 590) in Francia, Svizzera e Italia Settentrionale, creando e organizzando comunità ecclesiastiche e fondando vari monasteri, alcuni dei quali, per esempio Luxeuil e Bobbio, celebri per gli omonimi libri liturgici. La regola monastica che codifica la sua spiritualità è improntata a grande rigore e intende associare i monaci al sacrificio di Cristo. La sua prassi monastica ha influito sulla nuova disciplina penitenziale dell'Occidente
Sarebbe difficile attribuirgli il nome di una località, per quanto in Italia (dove una diecina di paesi ripetono oggi il suo nome) venga detto San Colombano di Bobbio, e in Francia San Colombano di Luxeuil, per avere egli fondato questi due celebri monasteri di tipo irlandese. In realtà, la sua azione ebbe carattere e importanza europea e fu di altissimo esempio ai Santi irlandesi che seguirono le sue peste. Da giovane egli aveva fatto scuola d'ascetismo sotto la regola di San Comgall, la più rigida e austera di tutto il monachesimo irlandese. Era passato di penitenza in penitenza, e di isola in isola, perché in mezzo ai laghi sorgevano i principali monasteri. Uno ne fondò egli stesso, a Bangor, destinato a diventar celebre. E qui fu per una decina di anni maestro dei più giovani.

Giunse però anche per San Colombano il tempo di spiegare le forti ali a più lunghi voli. Dopo essersi re-cato in diverse località dell'Irlanda, con dodici fedelissimi compagni varcò il mare, e fece il suo primo nido nella Gallia, in quella regione tra il Reno e la Mosa che diventerà poi il Belgio.
E' difficile anche per gli storici seguire le apostoliche peregrinazioni di San Colombano nei decenni che seguirono. Ciò che non mutava era la rigidità della Regola.
Finalmente passò le Alpi e giunse in Italia, preceduto dalla fama della sua saggezza e santità. Dapprima consigliere dei Re longobardi, poi a loro inimicatosi per la sua opposizione all'Arianesimo, venne relegato sui monti dell'Appennino ligure, tra Genova e Pavia. Qui, novantenne, quasi con le sue mani, costruì la chiesa e il monastero di Bobbio, dove morì nel 615.


(La divisione del testo in 10 capitoli proviene dai manoscitti di Bobbio, conservati presso 
la Biblioteca Nazionale di Torino, mentre i manoscritti conservati a San Gallo 
hanno una suddivisione in 14 capitoli, indicati tra parantesi.

Incomincia la regola dei monaci dell’abate san Colombano.
Innanzitutto ci viene insegnato ad amare Dio con tutta il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, e il prossimo come noi stessi Seguono le opere.

I. L’OBBEDIENZA

Alla prima parola del superiore tutti coloro che ascoltano si alzino per obbedire: infatti l’obbedienza è offerta a Dio, dal momento che Gesù Cristo nostro Signore dice: Chi ascolta voi ascolta me. (II) Se dunque qualcuno udendo la parola non si alza all’istante, è da giudicare disobbediente. Chi poi contraddice incorre nella colpa dell’orgogliosa insubordinazione, e perciò non solo è reo di disobbedienza, ma aprendo ad altri la porta della contestazione, dev’essere ritenuto causa di rovina per molti. (III) È poi da considerare disobbediente anche chi mormora, poiché non osserva di buon animo l’obbedienza. Pertanto si rifiuti la sua prestazione, finché non si costati la sua buona volontà. Qual è il limite fino al quale deve spingersi l’obbedienza? Essa è comandata, non v’è dubbio, fino alla morte. Cristo, infatti, per noi obbedì al Padre fino alla morte, come egli stesso ci lascia intendere per bocca dell'Apostolo: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio,· ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Pertanto gli obbedienti, veri discepoli di Cristo, nulla devono ricusare, per quanto sia duro e arduo, ma devono accogliere ogni ordine con fervore e gioia. Se l’obbedienza non sarà tale, non sarà gradita a Dio, il quale dice: Chi non porta la propria croce, e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo, mentre del vero discepolo afferma: Dove sono io, la sarà anche il mio servo.

II. IL SILENZIO (IV)

Si stabilisce che la regola del silenzio debba essere osservata con grande diligenza, poiché è scritto: Frutto della giustizia sono il silenzio e la pace. Per non cadere quindi nella colpa della loquacità occorre tacere, a meno che si tratti di vere necessità; infatti, secondo la Scrittura, nel molto parlare non manca la colpa.
Perciò il Salvatore dice: In base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato. A ragione saranno condannati coloro che, potendolo, non vollero dire cose giuste, ma preferirono parlare, con garrula loquacità, di cose cattive, sconvenienti, empie, vane, ingiuriose, malsicure, false, polemiche, offensive, turpi, inventate, blasfeme, aspre e piene di raggiri, Di queste e simili cose si deve dunque tacere, e parlarne con cautela e con riflessione, onde evitare che le denigrazioni o le superbe contestazioni degenerino in una loquacità deplorevole.

III. IL CIBO E LA BEVANDA (V)

Il cibo sia parco; lo si consumi alla sera, rifuggendo la sazietà e, nel bere, l’ubriachezza: esso sostenti senza nuocere. Sia costituito da ortaggi, legumi, farina impastata con acqua, assieme a una piccola pagnotta, perché non sia aggravato il ventre né appesantita la mente. Coloro che desiderano i premi eterni devono curarsi soltanto di ciò che è veramente utile e vantaggioso; pertanto ci si deve moderare sia nelle necessità materiali che nella fatica. Questo infatti è il vero discernimento: conservare integra la possibilità del progresso spirituale macerando la carne con l’astinenza; ma se l'astinenza oltrepasserà la misura, sarà non una virtù bensì un vizio: la virtù infatti custodisce e comprende molti beni. Si deve perciò digiunare tutti i giorni, così come tutti i giorni ci si deve ristorare; e mentre ogni giorno ci si deve nutrire, si deve gratificare il corpo poveramente e parcamente; infatti si deve mangiare ogni giorno, dato che ogni giorno si deve progredire, pregare, lavorare e leggere.

IV. LA POVERTÀ E IL DOVERE DI VINCERE LA CUPIDIGIA (VI)

I monaci, per i quali, a causa di Cristo, il mondo è crocifisso ed essi al mondo, devono guardarsi dalla cupidigia: è ovvio infatti che sia riprovevole per loro, non solo avere il superfluo, ma anche desiderarlo; a loro non si chiedono i beni, ma la volontà. Avendo lasciato tutto, per seguire Cristo Signore portando ogni giorno la croce del timore, essi hanno i loro tesori la cielo. Poiché dunque sono destinati ad avere molto in cielo, sulla terra devono accontentarsi del poco strettamente necessario, sapendo che la cupidigia è una lebbra per i monaci che imitano i figli dei profeti, per il discepolo di Cristo è tradimento e causa di perdizione, e, per i tentennanti seguaci degli apostoli, è persino morte, Perciò la spogliazione e il disprezzo delle ricchezze è la prima perfezione dei monaci; la seconda è la purificazione dai vizi; la terza - la perfezione delle perfezioni - è il continuo attaccamento a Dio e l’amore incessante per le realtà divine, che segue alla dimenticanza delle realtà terrene.
Stando così le cose, abbiamo bisogno di poco, secondo la parola del Signore, anzi di una cosa sola. Poche infatti sono le cose veramente necessarie, delle quali non si può fare a meno; si potrebbe perfino dire che sia una sola, cioè il cibo nel senso letterale della parola, Abbiamo invece bisogno della purezza del cuore, dono della grazia di Dio, al fine di poter spiritualmente capire in che cosa consistano quei pochi doveri di carità, che sono stati indicati a Marta dal Signore.

V. IL DOVERE DI VINCERE LA VANITÀ (VII)

Quanto sia pericolosa la vanità ci è dimostrato dalle brevi parole del Salvatore, il quale ai suoi discepoli esultanti per cose vane disse: Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore. E ai Giudei che cercavano di giustificarsi, una volta disse: Ciò che è esaltato tra gli uomini è detestabile davanti a Dio. Da tali esempi, e da quello del tristemente celebre fariseo che si dichiarava giusto, si può concludere che la vanità e l’orgogliosa esaltazione di sé distruggono ogni cosa buona.
Infatti i meriti del fariseo, superbamente vantati, andarono perduti, mentre i peccati del pubblicano, accusati, furono perdonati. Non escano dunque dalla bocca del monaco parole smisurate, perché non vada in fumo la sua smisurata fatica.

VI. LA CASTITÀ (VIII)

La castità del monaco si giudica dai suoi pensieri; a lui invero il Signore dice, come ai discepoli che lo accostavano per ascoltarlo: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel tuo cuore. Si deve temere che, Colui al quale il monaco è consacrato, mentre ne scruta il volto, trovi nel suo cuore qualcosa di abominevole, per paura che, secondo le parole di san Pietro, abbiano forse gli occhi pieni di disonesti desideri. A che giova la verginità del corpo, se manca quella del cuore? Dio infatti è spirito e dimora nello spirito e nel cuore che vede incontaminati, in cui non ci sono pensieri lussuriosi, non macchia alcuna di impurità, non sozzura di peccato.

VII. L'UFFICIO DIVINO

Quanto alla sinassi, cioè alla distribuzione dei salmi e delle preghiere secondo la misura canonica, vanno fatte alcune distinzioni, perché in proposito ci sono tradizioni diverse. Bisogna quindi che anch’io ne scriva facendo le debite differenze in base al tipo di vita e al succedersi delle stagioni. L’ufficio non deve infatti essere sempre di uguale lunghezza, dato l’alternarsi delle stagioni: è bene che sia più lungo nelle notti lunghe, più breve in quelle brevi. Pertanto, come facevano anche i nostri anziani, dal 24 giugno, quando la durata della notte incomincia ad allungarsi, anche l'ufficio inizia a diventare gradatamente più lungo; si parte da dodici ‘cori', il minimo fissato per la notte del sabato e per quella della domenica, e si va via via aumentandone il numero fino all'inizio dell’inverno, cioè il 1° novembre: allora si cantano venticinque salmi antifonali, ognuno dei quali è sempre collocato al terzo posto, e quindi preceduto da due salmi cantati, così che nelle due notti suddette si cantano tutti i salmi del salterio, mentre nelle altre notti, per l’intera durata dell’inverno, si conserva la misura di dodici ‘cori’.
Al termine dell’inverno, nel corso della primavera, gradualmente, settimana per settimana, si tolgono tre salmi, sicché solo dodici salmi antifonali rimangono per le notti ‘sante’, corrispondenti ai trentasei salmi dell’ufficio quotidiano invernale; ventiquattro invece per tutta la primavera e l’estate fino all'equinozio autunnale, cioè il 24 settembre, quando la sinassi viene celebrata come all’equinozio di primavera, cioè il 25 marzo, dato che l'ufficio a poco a poco cresce e decresce alternativamente.
La veglia deve quindi essere proporzionata alle nostre forze, soprattutto perche il nostro Salvatore ci comanda di vegliare e pregare in ogni tempo, e Paolo ci ammonisce di pregare incessantemente. Ma siccome si deve osservare la misura delle preghiere canoniche — per le quali ci si riunisce tutti insieme a pregare in ore determinate, dopo di che ognuno deve pregare nella propria cella — i nostri anziani hanno assegnato tre salmi a ciascuna delle ore diurne, alternate con il lavoro; ai salmi hanno aggiunto le invocazioni in cui si intercede innanzitutto per i nostri peccati, poi per tutto il popolo cristiano, successivamente per i sacerdoti e per gli altri membri del popolo santo consacrati a Dio, quindi per chi fa l’elemosina e per la pace tra i re, e da ultimo per i nemici, affinché Dio non imputi loro come peccato il fatto che ci perseguitano e ci calunniano, perché non sanno quello che fanno. All’inizio della notte si cantano dodici salmi e altrettanti a mezzanotte; per mattutino ne sono prescritti due volte dieci e due volte due per i periodi in cui, come si è detto, le notti sono brevi; un numero maggiore, come già detto, viene sempre assegnato alle veglie delle notti del sabato e della domenica, nelle quali in un solo ufficio si arrivano a cantare di seguito settantacinque salmi.
Tutto ciò vale per la sinassi comune. Ma la vera tradizione della preghiera, come ho precisato, varia in rapporto a quanto si può fare senza stancarsi dal voto pronunciato al riguardo: in rapporto all’eccellenza della capacità di ciascuno, oppure secondo le disposizioni spirituali, tenuto conto delle necessità, o di quanto il tipo di vita rende possibile. Si deve dare anche spazio al fervore di ciascuno, se è libero e solo; prendere in considerazione ciò che richiede il suo livello d’istruzione, e quanto a ciascuno permette il tempo libero concessogli dalla sua condizione, l’ardore del suo zelo, la natura del suo lavoro, e anche i vari gradi di età.
Pertanto diversa deve essere la valutazione della perfezione nel raggiungimento dell’unico ideale della preghiera, dal momento che essa deve alternarsi con il lavoro e non può prescindere dalle circostanze. In tal modo, sebbene sia varia la durata dello stare in piedi o del cantare, si cercherà di realizzare sempre con
uguale perfezione la preghiera del cuore e la costante attenzione dell'anima a Dio. Vi sono del resto alcuni cristiani che mantengono il numero canonico di dodici salmi, tanto nelle notti brevi quanto nelle notti lunghe; però osservano questa misura in quattro tempi nel corso della notte, cioè all’inizio e a metà della notte, al canto del gallo, e all’aurora. Questo ufficio, come sembra breve a certuni in inverno, così lo si trova alquanto pesante e faticoso d’estate, quando le frequenti levate nelle notti brevi causano, più che stanchezza, una schiacciante fatica. Ma nelle santissime notti della domenica e del sabato, a mattutino si ripete per tre volte lo stesso numero di salmi, cioè trentasei. La moltitudine di coloro che seguono questa norma e la santità della loro vita fecero preferire a molti tale numero canonico, nel quale trovano soave gaudio, così come anche il resto della loro osservanza: tra di loro non si trova invero alcuno estenuato dalla regola. E sebbene siano così numerosi che, si dice, mille padri vivono sotto un solo archimandrita, si tramanda che, dalla fondazione del cenobio, non si vide mai alcuno screzio tra due monaci. E ciò non potrebbe certamente avvenire se Dio non vi dimorasse, il quale dice: Abiterò in mezzo u loro e con loro camminerò, e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Ben a ragione, dunque, crebbero e ogni giorno, grazie a Dio, crescono coloro in mezzo ai quali Dio abita; per i loro meriti sia concesso anche a noi di essere salvati dal Signore, nostro salvatore. Amen.

VIII. IL DISCERNIMENTO (IX)

Quanto sia necessario ai monaci il discernimento lo si comprende dall’errore di molti e lo dimostra la rovina di alcuni. Hanno incominciato senza discerni mento e, vivendo senza sani criteri di moderazione, non riuscirono a condurre a termine un’esistenza degna di lode. Infatti, come l'errore incombe su coloro che camminano senza seguire una strada, così coloro che vivono senza discernimento inevitabilmente cadono nell’eccesso, il quale è sempre il contrario delle virtù che stanno in mezzo tra due eccessi opposti. Il rischio di oltrepassare la misura è reale, dal momento che, lungo il sentiero diritto della moderazione, i nemici pongono intoppi che inducono al male e pietre d`inciampo che fanno cadere in errori d’ogni sorta. Si deve perciò pregare incessantemente Dio implorando che doni la luce del vero discernimento per illuminare questo cammino circondato da ogni parte dalle densissime tenebre del mondo, affinché i suoi veri adoratori possano, attraversando tali tenebre, arrivare a Lui senza cadere in errore. La discrezione trae il suo nome da discernere, per il fatto che essa discerne, in noi, tra il bene e il male, ed anche tra mezzi e fine. Entrambi, cioè il bene e il male, sono dall’inizio separati come la luce e le tenebre, dopo che, ad opera del diavolo, incominciò il male a esistere per il corrompersi del bene, ma con Dio che prima illumina e poi separa. Così il pio Abele scelse il bene e l’empio Caino cadde nel male. (XI) Tutto quello che Dio creò era buono; il male fu seminato in seguito dal diavolo con perfida astuzia e con la subdola persuasione della sua pericolosa ambizione.
Quali sono dunque questi beni? Evidentemente quelli rimasti integri e intatti cosi come sono stati creati, quelli che Dio solo creò e che, secondo l’Apostolo, predispose perché noi camminassimo in essi; sono le opere buone nelle quali siamo stati creati in Cristo Gesù; vale a dire la bontà, l'integrità, la pietà, la giustizia, la verità, la misericordia, la carità, la pace che dona salvezza, la gioia spirituale con il frutto dello Spirito, Tutte queste cose, con i loro frutti, sono buone. Quelle ad esse contrarie sono cattive: cioè la malizia, la corruzione, l’empietà, l’ingiustizia, la menzogna, l’avarizia, l’odio, la discordia, l’amarezza con i molteplici frutti che ne derivano. innumerevoli sono gli effetti prodotti dai due contrari, il bene e il male. Il primo male, quello che si allontana dalla bontà e integrità originarie, è l’orgoglio della prima caduta; ad esso si oppone l’umile stima di una pia bontà che riconosce e glorifica il suo Creatore: questo è il primo bene di una creatura fornita di ragione. Tutto il resto si è poi sviluppato gradatamente nelle due direzioni in una sterminata selva di nomi. Stando così le cose, con ferma determinazione si devono custodire i beni, con l'aiuto di Dio, che dev'essere implorato sempre, tanto nei momenti favorevoli quanto in quelli sfavorevoli, perché non ci si inebri di vanità nel primo caso e non si cada nella disperazione nel secondo.
Pertanto si deve sempre stare in guardia da entrambi i pericoli, cioè da ogni eccesso, mediante una magnifica temperanza e un autentico discernimento, che è molto affine all'umiltà cristiana e apre la via della perfezione ai veri soldati di Cristo. Evidentemente si deve sempre discernere rettamente nei casi dubbi e in ogni circostanza distinguere equamente il bene dal male, tanto tra l’uno e l`altro se sono esterni a noi, quanto se sono in noi, tra corpo e anima, atti e abitudini, operosità e quiete, vita pubblica e vita privata. I mali da evitare sono, similmente, superbia, invidia, menzogna, corruzione, empietà, malvagia trasgressione della moralità, golosità, fornicazione, cupidigia, ira, tristezza, instabilità, vanagloria, orgoglio, maldicenza. I beni delle virtù da ricercare sono, altresì, umiltà, benevolenza, purezza, obbedienza, astinenza, castità, magnanimità, pazienza, gioia, stabilità, fervore, solerzia, vigilanza, silenzio. Tutto ciò, tramite la fortezza che rende capaci di sopportare e la temperanza che rende capaci di moderazione, è, per così dire, da mettere sui piatti della bilancia del discernimento per pesarvi le nostre azioni abituali, secondo la misura del nostro sforzo, nella continua ricerca di ciò che basta. Infatti, colui al quale ciò che è sufficiente non basta, ha senza dubbio oltrepassato la misura della discrezione, e tutto ciò che oltrepassa tale misura è chiaramente un vizio.
(XIII) Tra il poco e il troppo la giusta misura sta nel mezzo; essa sempre ci trattiene da ciò che eccede in un senso o nell’altro, in tutto procura sempre quanto è davvero necessario e tiene lontano dall'irragionevolezza di una volontà avida del superfluo. Questa misura della vera discrezione, che pesa con una bilancia precisa ogni nostro atto, non ci permetterà mai di deviare da ciò che è giusto, e, se la seguiamo sempre rettamente come guida, non ci lascerà cadere in errore. Si deve sempre stare in guardia dagli eccessi opposti, secondo quel detto: Non discostatevi né a destra né a sinistra; e si deve sempre procedere diritto seguendo la discrezione, cioè la luce che viene da Dio, dicendo molto spesso e cantando il versetto del salmista vittorioso: Dio mio, illumina le mie tenebre, poiché per te sarò liberato dalla tentazione. La vita sulla terra, in effetti è una tentazione.

IX. LA MORTIFICAZIONE (XIV)

La parte più importante della regola dei monaci è la mortificazione, che è loro comandata dalla Scrittura: Non far nulla senza consiglio. Se, dunque, non si deve fare nulla senza consiglio, in tutto lo si deve chiedere.,Anche Mosé raccomanda ciò: Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno.
Sebbene a chi è duro di cuore sembri gravosa questa disciplina, che cioè un uomo debba sempre dipendere dalla bocca di un altro, tuttavia da tutti coloro che temono Dio sarà trovata soave e sicura, se la si osserva totalmente e non in parte: nulla infatti è più dolce della sicurezza della coscienza e nulla è più sicuro di un animo senza rimorsi; il che nessuno può darsi da sé, perché appartiene propriamente al giudizio di altri. È infatti libero dal timore del giudizio ciò che già è stato vagliato da colui cui tocca giudicare: su costui grava il peso del fardello dell’altro ed è lui a portare interamente la responsabilità che si è assunta. È maggiore - come sta scritto - la responsabilità di chi giudica che quella di chi è giudicato. Pertanto, chiunque chiederà sempre consiglio, se lo osserverà, non sbaglierà mai. Se sarà sbagliato il consiglio, la fede di chi crede e la fatica di chi obbedisce non sbaglieranno e non rimarranno privi della ricompensa che è dovuta a chi chiede consiglio. Se invece colui che avrebbe dovuto chiedere consiglio vaglierà qualcosa da se stesso, si renderà per ciò stesso colpevole di errore, proprio per aver presunto di giudicare, mentre avrebbe dovuto sottoporsi al giudizio. E anche se avrà operato rettamente, la sua azione sarà ritenuta cattiva, essendosi così allontanato dalla via giusta. Infatti, colui il cui dovere è solo di obbedire, non osa giudicare nulla da sé.
Stando così le cose, i monaci devono sempre guardarsi dalla orgogliosa libertà e imparare invece la vera umiltà obbedendo senza esitazione né mormorazione. E così, secondo la parola del Signore, sentiranno il giogo di Cristo soave e il suo carico leggero; diversamente, finché non avranno imparato l’umiltà di Cristo, non sentiranno la soavità del suo giogo né la leggerezza del suo carico. L’umiltà del cuore, infatti, è riposo per l’anima affaticata dai vizi e dalle prove ed è per essa l`unico conforto fra tanti mali; e quanto più il monaco si lascia avvincere da tale considerazione, al sicuro da tante esteriorità vane e caduche, tanto più nell'intimo gusta il sollievo e la pace, sicché anche quelle cose che sono amare gli diventano soavi, e quello che prima era ritenuto duro e arduo, lo sente agevole e facile. Anche la mortificazione, intollerabile per i superbi e i duri di cuore, è una consolazione per colui al quale piace solo ciò che è umile e dolce. Si deve però sapere che nessuno potrà conoscere questa gioia del martirio, né compiere perfettamente qualcos'altro di utile, presentandosene l'occasione, se non si sarà esercitato in ciò con somma diligenza, così da non essere trovato impreparato. Se infatti, accanto a questo impegno, vorrà seguire e coltivare qualche mira personale, ben presto ne sarà assorbito e, divenuto totalmente inquieto, non potrà sempre eseguire, con animo ben disposto, l’ordine ricevuto, Non può attendere a ciò, come conviene, chi è agitato e irriconoscente. La mortificazione comprende tre punti: non avere divisione nel proprio cuore; non lasciare che la lingua dica ciò che le piace; non andare in nessun luogo senza permesso.
È proprio della mortificazione dire sempre all'anziano, anche se comanda qualcosa di sgradito: Non come voglio io, ma come vuoi tu, secondo l’esempio del nostro Signore e Salvatore che afferma: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre, colui che mi ha mandato.

X. LA PERFEZIONE DEL MONACO

Il monaco, in monastero, viva sotto l'autorità di un solo padre e insieme con molti fratelli, affinché impari da uno l’umiltà, da un altro la pazienza; uno gli insegni il silenzio, l’altro la mitezza; non faccia ciò che vuole, mangi ciò che gli è prescritto, non possieda se non ciò che ha ricevuto, compia il lavoro che gli è assegnato, sia sottomesso a chi non vorrebbe; si corichi stanco, sonnecchi camminando e sia costretto ad alzarsi quando non ha ancora finito di dormire; se è stato offeso, taccia; tema chi è preposto al monastero come un signore, ma insieme lo ami come un padre, creda che, qualunque cosa gli comandi, è per lui salutare; non osi giudicare una decisione di un anziano, lui il cui dovere è di obbedire e di compiere ciò che è stato comandato, secondo le parole di Mosé: Ascolta, Israele, con quel che segue.

FINE DELLA REGOLA.








venerdì 21 novembre 2014

lettera di Paolo apostolo a Filemone



LETTERA A FILEMONE
TESTO

1 - Paolo, prigione di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo, a Filemone, nostro diletto e compagno d'opera,
2 - e alla sorella Apfia, e ad Archippo, nostro compagno d'armi, e alla chiesa che è in casa tua,
3 - grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo.
4 - Io rendo sempre grazie all'Iddio mio, facendo menzione di te nelle mie preghiere,
5 - giacché odo parlare dell'amore e della fede che hai nel Signor Gesù e verso tutti i santi,
6 - e domando che la nostra comunione di fede sia efficace nel farti riconoscere ogni bene che si compia in noi, alla gloria di Cristo.
7 - Poiché ho provato una grande allegrezza e consolazione pel tuo amore, perché il cuore dei santi è stato ricreato per mezzo tuo, o fratello.
8 - Perciò, benché io abbia molta libertà in Cristo di comandarti quel che convien fare,
9 - preferisco fare appello alla tua carità, semplicemente come Paolo, vecchio, e adesso anche prigione di Cristo Gesù;
10 - ti prego per il mio figliuolo che ho generato nelle mie catene,
11 - per Onesimo, che altra volta ti fu disutile, ma che ora è utile a te ed a me.
12 - Io te l'ho rimandato, lui, ch'è quanto dire, le viscere mie.
13 - Avrei voluto tenerlo presso di me, affinché in vece tua mi servisse nelle catene che porto a motivo del Vangelo;
14 - ma, senza il tuo parere, non ho voluto far nulla, affinché il tuo beneficio non fosse come forzato, ma volontario.
15 - Infatti, per questo, forse, egli è stato per breve tempo separato da te, perché tu lo ricuperassi per sempre;
16 - non più come uno schiavo, ma come da più di uno schiavo, come un fratello caro specialmente a me, ma ora quanto più a te, e nella carne e nel Signore!
17 - Se dunque tu mi tieni per un consocio, ricevilo come faresti di me.
18 - Che se t'ha fatto alcun torto o ti deve qualcosa, addebitalo a me.
19 - Io, Paolo, lo scrivo di mio proprio pugno: Io lo pagherò; per non dirti che tu mi sei debitore perfino di te stesso.
20 - Sì, fratello, io vorrei da te un qualche utile nel Signore; deh, ricrea il mio cuore in Cristo.
21 - Ti scrivo confidando nella tua ubbidienza, sapendo che tu farai anche al di là di quel che dico.
22 - Preparami al tempo stesso un alloggio, perché spero che, per le vostre preghiere, io vi sarò donato.
23 - Epafra, mio compagno di prigione in Cristo Gesù, ti saluta.
24 - Così fanno Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei compagni d'opera.
25 - La grazia del Signor Gesù Cristo sia con lo spirito vostro.





giovedì 20 novembre 2014

(Omelia I per l'Ingresso della santissima Madre di Dio, Germano di Costantinopoli,



(Omelia I per l'Ingresso della santissima Madre di Dio, Germano di Costantinopoli, 

Testi Mariani del Primo Millennio, vol 2. Città Nuova editrice)
Invito a celebrare la festa


1. Ogni divinissima festa, la volta che sia celebrata, riempie spiritualmente di gioia i fedeli attingendo da tesori e sorgenti provenienti da Dio. Ma quella che è ora celebrata, attirando gli animi come iniziatrice dei misteri, di tanto risplende maggiormente e al di sopra di tutte, per quanto è a tutti superiore la primeggiante figlia di Dio. Di lei infatti ricorre l'annuale sacrissimo convito, i cui partecipanti debbono essere immuni dal male.
E voi, se vi piace, accompagnatemi benevolmente con pensieri purissimi ed essendo ricoperti di risplendenti ornamenti. Insieme corriamo a raccogliere gli amati fiori del prato che è proprio della Madre di Dio. Cospargiamo di unguenti odorosi la sua bellezza come di boccioli dal colore di rosa che irrompe piena di profumi, come è stato bellamente composto in versi da Salomone che nel Cantico dichiara: «Chi è questa che sale dal deserto, come una colonna di fumo esalante profumo di mirra e d'incenso da ogni polvere di profumiere?» (Ct 3, 6). «Vieni qui dal Libano, o mia sposa, vieni dal Libano» (Ct 4, 8). Perciò scambievolmente esortandoci andiamo alacremente alla salutare e a tutti benefica solennità della Madre di Dio, e inginocchiatici dinanzi al penetrale guardiamo verso la fanciulla che si avanza verso la seconda cortina, Maria, la purissima Madre di Dio, colei che ha posto fine alla privazione della sterilità e con la grazia del suo parto ha superato l'ombra della lettera della Legge (cf. Rm 2, 29).
A tre anni Maria è introdotta nel  tempio

2. Infatti oggi compiendo tre anni si avanza per essere consacrata al tempio stabilito dalla Legge, ella che sola è detta tempio immacolato e supremo del Signore sommo sacerdote e fra tutti primo autore dei misteri, ella che nel suo proprio fulgore di splendore divinamente lampeggiante ha aperto l'oscurità che era nella lettera. Oggi l'infante
è consegnata al sacerdote, ella che a quaranta giorni consacrerà il Dio unico sommo sacerdote (cf. Lc 1, 22ss.), diventato per noi infante secondo la carne, mentre reggerà con le sue braccia colui che è infinito, al di sopra di ogni umano pensiero. Oggi il volume senza macchie, nuovissimo e purissimo, destinato non ad essere scritto dalla mano dell'uomo ma ad essere rivestito di oro dallo Spirito, è offerto in dono di ringraziamento santificato dalle benedizioni secondo la Legge... 
Oggi Gioacchino, essendosi deterso dalla vergogna della mancanza di figli, orgogliosamente si avanza per mostrare apertamente per le strade la sua propria prole, e a sua volta si manifesta come conduttore del rito secondo la Legge.Oggi anche Anna, che ha scambiato la continua sterilità con una felice fecondità, divinamente invasa da gioia infinita, avendo stretto al petto colei che è piú grande dei cieli, annunzia pubblicamente fino ai confini della terra di aver ottenuto una prole. Oggi la porta del tempio divino, spalancata, riceve la sigillata porta dell'Emmanuele (cf. Ez 44, 1-3) che entra rivolto verso l'Oriente. Oggi la sacra tavola del tempio incomincia a risplendere, essa che ha assunto il passaggio a riti incruenti, mediante la partecipazione e il dolcissimo abbraccio del culto divino della tavola che regge il pane celeste e vivificante. Oggi è offerta al propiziatorio colei che sola è stata detta nuovo divinissimo e purissimo propiziatorio, non costruito dalla mano dell'uomo (cf. Eb 9, 11), a favore dei mortali abbattuti dalle correnti dei peccati spinte di traverso. Oggi colei che con la consacrazione dello Spirito è destinata a ricevere il Santo dei santi in modo santissimo e glorioso, con una consacrazione piú eccelsa di quella del santo santuario, in età semplice ed inesperta di male è elevata e collocata in modo mirabilissimo al di sopra della gloria dei cherubini
Maria, degna di lode3. Oggi Maria, intorno alla quale chi pur dica innumerevoli cose tuttavia non riuscirà a tenere dietro al suo desiderio né tanto meno lo realizzerà, oggi suscita le sue lodi per essere stata elevata per bellezza al di sopra di ogni lingua e di ogni mente, in modo stupefacente. La goccia celeste da lei generata - immenso mare - rese manifeste le sue grandezze. In grazia di questa, la grandezza di lei è diventata incomprensibile per infinità e inesauribile è la gioia che proviene da lei. Infatti a tutti è possibile saziarsi in tutte le cose; ma nei canti e nelle feste in onore di lei il convito è inesauribile per dolcezza. Perciò le sorgenti delle lodi che prendono inizio da lei non possono essere disseccate: e poiché la fonte è ricca né diminuisce per l'uso (cf. Gv 4, 14) ma invece s'ingrossa per cento e per mille in piú di quanto se ne prende, non è possibile che coloro che ne attingono giungano alla fine. Infatti nella grande misericordia il mistero trabocca e crescendo
Gioia e esultanza di Anna
5. Quindi, dopo che ella, la nutrice della nosta vita, era stata nutrita con il latte, i suoi genitori portano a compimento il tempo a cui si erano obbligati con voto. Infatti, dopo aver riunito le fanciulle che intorno dimoravano, dice che procedano innanzi recando le fiaccole per modo che lei segua dietro, affinché rallegrata dallo splendore delle luci ella cammini senza girarsi.
Ed Anna, prima sterile ed infeconda, profetizzò, stendendo a Dio la sua mano e gridando chiaramente a grandissima voce: «Orsú - dice -, voi tutti uomini e donne raccolti per questa nascita, ancora di piú gioite con me che ora offro al Signore la figlia delle mie viscere in dono consacrato e splendente di luce divina. Orsú, capi del coro, insieme ai cantori ed alle suonatrici di timpano date inizio soavissimamente intonando un canto nuovo ed inaudito, precedendovi non Maria sorella di Mosè (cf. Es 20-21) ma guidandovi colei che è nata da me.
Voi tutti, vicini ed estranei, che venite dietro a me che, avendo felicemente generato, ho reso grazie con grandissima riconoscenza ed ora rimetto lietamente ai santi il frutto delle mie doglie, orsú, elevate gloriosamente canti ispirati da Dio. E voi, schiera dei profeti, istruendo la scelta raccolta con le splendenti lodi a voi ispirate dallo Spirito di Dio, intonate l'inno. Infatti, dove risuona una parola di eco profetica, là si spegne ogni piú contrario grido funesto.
6. E tu, Davide proavo di lei e progenitore di Dio, melodiosamente pulsando l'arpa a dieci corde (cf. 1 Sam 16, 23), orsú, falla risuonare ancora piú armoniosamente con le corde dello Spirito attraverso la tua bocca ispirata da Dio, chiaramente raffigurando una schiera di fanciulle, cosí come «al Re saranno condotte fanciulle dietro di lei, le sue compagne gli saranno presentate» (Sal 45, 15). Ecco, infatti, la moltitudine delle giovani forma il coro per le vie e la figlia del Re è condotta nel sacro edificio, nel santo tempio, essendo destinata a dar compimento al tuo vaticinio, lei, la mia bambina regalissima che tu chiami figlia: «Infatti tutta la gloria della figlia del Re - tu dicesti in simil modo suonando la cetra - dentro, in frange d'oro» (Sal 45, 14), rivestita di purezza incontaminata ed incorruttibile, e variamente ornata di incomparabile bellezza. Vieni qui, o Davide che fai risplendere la luce dell'alba: «Chi è costei che spunta come aurora, bella come la luna, splendente come il sole?» (Ct 6, 10). «Quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali» (Ct 7, 1). «Quanto sei diventata bella e soave» (Ct 7, 7), tu che sei rivestita di sole e porterai una nuova meraviglia sotto il sole.
Sii presente, o Ezechiele dall'alta voce, che reggi proveniente da Dio il libro dello Spirito vivificante, e gridi la lode alla porta sigillata rivolta verso l'Oriente e conduttrice verso Dio (cf. Ez 7, 9). E se c'è qualche altro - a due a due - dell'ordine sacramentale scelto, oppure tutto il restante gruppo dei veggenti, suvvia acclamate, vedendo avanzarsi il compimento di ciò che è stato profetizzato. E che? Voi, prima progenitori che state per essere liberati dalla maledizione e state per riottenere la sede delle delizie dalla quale foste scacciati (cf. Gn 3, 23), forse non innalzerete inni alla causa della vostra salvezza, con elogi convenienti e lodi grandissime? O forse se non è lecito a voi innalzare la voce, e non è lecito che io la innalzi con voi e che tutta la creazione esulti insieme con noi?» (cf. Rm 8, 19-22).
La soglia del tempio è santificata da Maria
7. Con queste considerazioni, come era conveniente, la saggia Anna adeguandosi al passo e con lei il dolcissimo marito insieme alle fanciulle portatrici di fiaccole accompagnano colei che è nata da loro, raggiungono il tempio, e quindi si aprono le porte per accogliere la spirituale porta di Dio l'Emmanuele, e la soglia è santificata dalle orme di Maria. Il tempio è illuminato dalle fiaccole, ma ancora di piú esso risplende di luce abbagliante per l'arrivo di una sola fiaccola: il suo splendore è ancora piú abbellito dall'ingresso di questa. I rivestimenti dei corni dell'altare (cf. Ez 27, 2) si imporporano per la sua virginea e purpurea veste. Gioisce Zaccaria  che è stato giudicato degno di accogliere la Madre di Dio; si rallegra Gioacchino davanti che con il compimento della sua offerta testimonia l'avveramento dei vaticini. Esulta Anna per la consacrazione del suo rampollo; tripudiano i primi progenitori che si sottraggono alla chiusura della condanna; si compiacciono i profeti, e insieme a loro gioiosamente balza fuori tutta la schiera di coloro che sono in grazia.
I genitori affidano la figlia al sacerdote
8. Dunque la figlia di Dio cosí è introdotta, e sta ferma ai corni dell'altare dopo che i genitori hanno pregato e mentre il sacerdote si accinge a benedire. Ma di nuovo i genitori gridano al sacerdote: «Ricevi colei che è destinata a ricevere il fuoco immateriale e incomprensibile; ricevi colei che sarà il ricettacolo del Figlio e Verbo del Padre ed unico Dio, prendi colei che ha annullato la vergogna della nostra infecondità e della nostra privazione. Porta all'altare colei che sta per introdurci nell'antico pascolo del paradiso; prendi in tuo potere colei che nel suo proprio parto assoggetterà il dominio dell'inferno e la forza della morte che a noi reca timore. Cingi con le braccia colei che intorno copre la nostra natura che nell'Eden fu denudata; prendi la mano di lei, che avvolge in fasce colui che porrà fine alla nostra mano intemperante e violenta che si è orgogliosissimament e protesa. Consacra a Dio colei che consacrerà noi, lei che è compimento divino dell'attesa delle nostre speranze.
Guarda, Signore, guarda. Prendi colei che tu hai dato; ricevi colei che tu hai donato; accogli colei che tu ci hai assegnato per sciogliere la nostra sterilità. Tu, che per mezzo di lei condanni l'infecondità della Legge, tu attraverso di lei ci hai riscattato dal perpetuo spavento: prendi costei che ha bene provveduto a noi e che tu stesso hai prescelto, hai predestinato e hai santificato. Stringi colei che si appoggia a te, che è affascinata dal tuo odore, e che dalle foglie spinose (cf. Gn 3, 18) della nostra indegnità tu hai scelto come giglio; con lietissimo viso prendi fra le braccia colei che ti è offerta. Ecco, a te noi consacriamo lei e consacriamo anche noi stessi».
Discorso di Zaccaria a Gioacchino ed Anna
9. Queste furono le concordi parole dei giusti, queste le voci della coppia coniugale cara a Dio, questa la ben composta consacrazione dei progenitori di Dio. E quindi Zaccaria, accolta la fanciulla, cosí è verosimile che dica dapprima ai genitori: « O autori della nostra salvezza, che cosa io vi dirò? Come vi chiamerò? Io rimango stupito nel vedere quale frutto avete portato. Di tale valore è infatti chiunque per la sua purezza attiri Dio ad abitare in lei. Non è mai nata, né mai nascerà alcuna donna che risplenda per una tale bellezza. Voi apparite come i due fiumi raddoppiati che scaturiscono dal paradiso (cf. Gn 2, 10-15), portando una fiaccola superiore all'oro ed alla pietra preziosa, la quale illumina tutta la terra con la bellezza della sua immacolata verginità e con i suoi rugiadosi fulgori.
Voi siete stati riconosciuti come astri lucentissimi, in qualche modo inseriti nel firmamento, mentre ciascuno di voi serenamente illumina la buia ombra della lettera oscura e della Legge tempestosa
e saggiamente guida senza inciampo i credenti in Cristo alla nuova grazia della recente luce.
Voi siete stati riconosciuti come corni splendentissimi del tempio spirituale della Nuova Alleanza, contenendo nelle vostre viscere il santificato altare della sacra vittima, spiritualissimo e a Dio consacrato. Voi, se non è di poco conto dirlo già in anticipo, mediante la vostra cura del sacerdote reggitore del mondo siete stati riconosciuti in modo misteriosissimo anche come i cherubini che circondano il propiziatorio (cf. Es 25, 18ss.). Piú che l'oro anticamente lavorato a rivestimento
dell'arca (cf. Es 25, 10) voi appariste a tutt'intorno ricoprire l'arca spirituale e divina di colui che nella croce ha sottoscritto la nostra liberazione. La vostra gioia è gioia dell'universo, la vostra gloria è detta letizia per tutti.
Beati voi, che siete diventati genitori di tale figlia! Benedetti voi, che avete presentato al Signore tale dono benedetto! Felici le mammelle dalle quali ella fu nutrita, e felice il seno dal quale ella è stata portata! (cf. Lc 11, 27).
Indirizzo di saluto di Zaccaria a Maria bambina
10. Vieni qui anche tu, fanciullina piú alta dei cieli. Vieni qui, tu che sei vista come bambina e con la mente sei conosciuta come officina divina. Vieni qui, santifica ancora di piú il vestibolo del santuario: infatti, per dirla ancora in una parola, non tu sei santificata, ma piuttosto sei tu che assai lo santifichi.
Vieni qui, piegati verso il penetrale e verso la cella che incute tremore, tu che diventerai tesoro immenso e imperscrutabile. Entra nel vestibolo dell'altare, tu che infrangi il vestibolo della morte. Guarda dentro, verso il velo (cf. Es 26, 31ss.), tu che con il tuo fulgore illumini coloro che sono accecati dal gusto oscurante. Porgi le mani a me che ti conduco come una bambina, e prendi la mano, a me che sono stanco per la vecchiaia e mi sono piegato alla trasgressione del comandamento per ardore terreno, e conducimi alla vita. Ecco, io ti tengo come piccolo bastone della vecchiaia e ristoro della natura indebolita dalla caduta. Ecco, io vedo te che diventerai sostegno di coloro che sono caduti verso la morte. Accostati a venerare la mensa, per la quale in molti simboli è stato detto che essa ha profetizzato te, mensa spiritualissima ed incontaminata. Cammina attraverso tutto il recinto dell'altare poiché, spirando odore d'incenso (cf. Es 30, Iss.), sei diventata piú che profumo per coloro che ne aspirano l'olezzo, tu che egregiamente sei stata proclamata turibolo della lingua ispirata da Dio e dei profeti portatori dello Spirito.
Sali, sali sul gradino della sacra dimora. Compiacendosi per la freschezza della tua beltà le figlie di Gerusalemme tessono gioiose la lode e i re della terra ti dichiarano beata: tu che sei stata riconosciuta divino fondamento e nel modo piú soave sei stata indicata al patriarca per eccellenza Giacobbe come scala sostenuta da Dio (cf. Gn 28, 12ss.). Vieni, o Signora, poiché poggiare su tale piedistallo si addice a te che sei regina e sei glorificata al di sopra di tutti i regni. Il luogo consacrato conviene per abitazione a te che sei trono piú alto che i cherubini. Ecco, poiché tu sei regina dell'universo, a te io ho attribuito degnamente il primo seggio; ma orsú, solleva tu stessa coloro che sono giú precipitati. E quindi ora insieme a Davide io grido: «Ascolta, o figlia,
guarda e china il tuo orecchio, dimenticati della tua gente e della casa di tuo padre, ed il Re bramerà la tua bellezza» (Sal 45, llss.).
11. Il vecchio cosí si comportava, anche se nella sua intenzione con lodi piú numerose di queste. I genitori si mossero, e la figlia consacrata a Dio fu lasciata. Con tremore gli angeli la servivano per il ministero delle vivande, e la fanciulla si cibava da esseri immateriali con nutrimento (non sappiamo se) materiale o immateriale. Cosí attraverso un adempimento che proveniva da Dio si compivano i riti della divina iniziazione, cosí la bambina cresceva e si rafforzava, ed invece perdeva forza tutta l'avversità della maledizione a noi data nell'Eden (cf. Gn 3, 16ss.).
Salutazione a Maria
12. Ma orsú appunto, o cara adunanza in onore di Dio, a voce unanime rivolgiamo 1'Ave alla Regina (cf. Lc 1, 28) con quanta forza è possibile al nostro pensiero infantile, pur non potendo celebrare perfettamente la sua festa: ma tuttavia incoraggiamo la nostra debolezza per quanto è possibile, poiché è caro a Dio ciò che si fa secondo la propria capacità. Infatti ella che sola è stata dichiarata vergine e madre, è superiore ad ogni pensiero, e ben chiaro ne è il motivo. Infatti quale vergine ha mai generato, o dopo aver generato ha conservato inviolata la verginità? Chi, se non tu sola, tu che senza mutazione hai partorito per noi Dio nella carne, o fanciulla beatissima?
13. Ebbene Ave, o tu che oggi nel tuo ingresso nel Santo dei Santi hai posto una veste purpurea veramente rivestita da Dio addosso a noi, che nell'Eden eravamo stati denudati dell'indumento glorioso e non tessuto da mano umana (cf. Gn 3, 17) a causa del cibo apportatore di morte e bruciatore delle anime: tu, o Sposa di Dio, che sei la remissione dei peccati (cf. El 1, 7) donata da Dio a noi insozzati di fango. 
Ave, tu che oggi al primo inizio della splendidissima e veneranda Presentazione raduni tutta la schiera dei profeti, i quali con cimbali dal bellissimo suono come armoniosi strumenti intonano l'inno dalla voce divinissima e conducono la danza in letizia a guida delle anime.
14. Ave, tu che con la cadenza dei tuoi passi hai calpestato il diavolo, il diabolico serpente dalla mente tortuosa e odiatore del bene, che per me è stato nefasta guida verso la disobbedienza (cf. Gn 3, 1-13): tu che hai preso come compagna di strada la natura corruttibile che si era mostrata facile alla caduta, per ricondurla di nuovo verso il tabernacolo immateriale e santo che non conosce vecchiaia. 
Ave, tu che con le fiaccole della tua Presentazione hai fatto risplendere luminosamente il giorno della gioia e dell'esultanza (cf. Sal 45, 15) su coloro che erano conficcati nell'ombra della morte e nell'abisso dell'impotenza, ed hai garantito che per mezzo tuo sarebbe stato deciso da Dio il dissolvimento delle tenebre, o Maria mirabile al di sopra di tutto.
Ave, o tu che sei nuvola (cf. Es 19, 16) che fa distillare su di noi la divina rugiada spirituale (cf. Es 16, 13), tu che con il tuo odierno ingresso nel Santo dei Santi hai fatto sorgere il sole splendidissimo su coloro che erano trattenuti nell'ombra della morte: sorgente piena di Dio, da cui i fiumi della conoscenza di Dio, versando la limpidissima e rilucente acqua dell'ortodossia, distruggono la turba delle eresie.
15. Ave, soavissimo e spirituale paradiso di Dio, piantato oggi verso l'Oriente dall'onnipotente destra della sua volontà (cf. Gn 2, 8) e germinante a lui il giglio odoroso e la rosa che non appassisce -
a vantaggio di coloro che, rivolti all'Occidente, hanno bevuto il pestilenziale amaro della morte distruttore delle anime -, mentre in esso fiorisce il legno vivificante per la conoscenza della verità, e coloro che ne gustano diventano immortali. 
Ave, tu che sei la reggia incontaminata e purissima di Dio Re dell'universo, sacralmente costruita, essendo tu circondata dalla sua maestà e ristorando tutti ospitalmente con il mistico godimento di te stessa: tu ora ti stabilisci nella dimora del Signore - e cioè nel suo santo tempio -, mentre in te si trova, variamente ornato e non costruito da mano umana, il talamo dello sposo spirituale (cf. Sal 19, 6) ed in te il Verbo, volendo riportare sulla strada l'errante, si è coniugato alla carne per riconciliare (cf. Rm 5, 10) coloro che per propria volontà si erano già separati.
16. Ave, nuova Sion e divina Gerusalemme, santa «città di Dio grande Re, nelle cui torri Dio si fa conoscere» (Sal 48, 3ss.), facendo piegare i re nella venerazione della tua gloria e disponendo tutto il mondo a celebrare in esultanza la solennità della tua Presentazione: tu sei realmente candelabro a sette lumi (cf. Es 25, 31), aureo e splendente, acceso dalla fiamma intramontabile, che è alimentato dall'olio della purezza e garantisce lo spuntare della luce a coloro che sono ciechi per la tetra oscurità (cf. 2 Pt 2, 4) dei peccati. 
Ave, monte di Dio fertilissimo ed ombroso (cf. Sal 68, 16): essendosi nutrito in esso, l'agnello spirituale si addossò i nostri peccati e le nostre infermità; rotolando giú da esso la pietra non tagliata da mano umana schiacciò gli altari degli idoli (cf. Dn 2, 34) e «diventò testata d'angolo, meraviglia agli occhi nostri» (Sal 112, 22ss.).
17. Ave, tu che sei santo trono di Dio, offerta divina, casa della gloria, splendore bellissimo, scelto gioiello, universale propiziatorio e «cielo che narra la gloria di Dio» (Sal 19, 2), Oriente che fa spuntare una luce che non tramonta: di questa «la partenza è da un estremo del cielo e nessuno di coloro che sono mai nati è fuori dal suo calore» (Sal 19, 7), e cioè della provvidenza reggitrice. 
Ave, tu che con la tua nascita hai disciolto i vincoli della sterilità, hai dissolto la vergogna dell'infecondità , hai affondato la maledizione della Legge (cf. Gal 3, 13), hai fatto fiorire la benedizione della grazia, e che con il tuo ingresso nel Santo dei Santi hai portato a compimento il voto dei_tuoi genitori, la fondazione del nostro perdono e la pienezza della nostra gioia, poiché hai condotto innanzi a te l'inizio della grazia. 
18. Ave, Maria piena di grazia (Cf. Lc 1, 28), piú santa dei santi, piú alta dei cieli, piú gloriosa dei cherubini, piú onorata dei serafini, piú venerabile al di sopra di tutta la creazione: tu che con la tua gloriosa e splendente Presentazione porti a noi il ramoscello d'ulivo liberatore dal diluvio spirituale (Cf. Gn 8, 11), o colomba che ci porti la lieta novella del porto di salvezza, e di cui «le ali sono argentate e il dorso nel pallore dell'oro» (Sal 68, 14), mentre le fa lampeggiare il santissimo e illuminante Spirito: urna tutta d'oro (Cf. Es 16, 33), che contieni la dolcezza delle nostre anime, e cioè Cristo nostra manna.
Preghiera di chiusura
19. Ma, o Tuttapura, tutta degna di lode e tutta venerabile, offerta a Dio superiore a tutte le cose create, terra non arata, vite lussureggiante (Cf. Ez 19, 10), coppa esilarantissima, sorgente zampillante (Cf. Es 17, 6), Vergine generante e Madre inesperta d'uomo, gioiello di santità, ornamento di modestia, con le tue preghiere bene accette e maternamente rivolte a tuo Figlio, Dio creatore di tutte le cose nato da te senza padre, regolando il timone della disciplina ecclesiastica dirigilo verso il porto immune da onde, ossia non agitato dall'afflusso di eresie e di scandali.
Rivesti i sacerdoti nel modo piú lucente con la giustizia e con l'esultanza della genuina fede gloriosa ed irreprensibile.
Tu guidi lo scettro in pace e in felice stato agli imperatori ortodossi che al di sopra di ogni colorazione di porpora e di oro purissimo, al di sopra di ogni perla o pietra preziosa, hanno avuto in sorte te come diadema, mantello e ornamento sicuro del loro regno: assoggetta, stendendoli ai loro piedi, i perfidi popoli barbari che bestemmiano contro di te e contro il Dio nato da te.
Nell'ora della guerra porta soccorso all'esercito che si appoggia sempre sui tuoi aiuti; conferma i sudditi a procedere secondo il comando di Dio nella docile osservanza della disciplina.
Custodisci la tua città che ha te come torre (Cf. Sal 61, 4) e fondamento, cingendola di forza ed incoronandola con i premi della vittoria.
Conserva sempre lo splendore del tempio, abitazione di Dio; preserva i tuoi cantori da ogni avversità e dalle sofferenze dell'anima. Assegna la liberazione ai prigionieri; mostrati come conforto agli stranieri che sono senza tetto e senza difesa.
Stendi a tutto il mondo la tua mano sostenitrice, affinché in letizia ed esultanza con rito splendidissimo noi celebriamo tutte le tue solennità insieme a quella che ora viene festeggiata, in Cristo Gesú, re di tutte le cose e nostro vero Dio, al quale la gloria e la potenza, insieme al Padre santo e principio di vita ed allo Spirito coeterno, consostanziale e insieme regnante, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen
tratto e postato dal limk romano-cattolico


Il sito nasce dall'impegno della comunità cristiana  di Scaldaferro, (Vicenza) e della comunità religiosa  marianista ivi presente. (il sito è ricco di documenti patristici e di liturgie e di offici di preghiera alla Madre di Dio nella tradizione cristiano orientale... )


mercoledì 19 novembre 2014

E Abbà disse....Preghiera di liberazione che la Santa Tradizione assegna a San Cipriano dei Calamizzi la cui memoria celebriamo il 20 novembre








Sovrano Signore, medico degli ammalati e Dio d’ogni consolazione, tu che non vuoi che l'uomo sia oppressodal dolore o malato, ma lieto e perfettamente sano, solleva e compatisci il tuo servo  N. , caduto in debolezza fisica e giunto a completo scoraggiamento; non trascurarlo, spegni la febbre, mìtiga il dolore,allontana la debolezza. Con la tua parola tu, o sovrano, hai fatto alzare per servirti la suocera di Pietro,febbricitante e terribilmente prostrata; vieni anche ora presso il tuo servo
N.e mìtiga il dolore dell'anima e  la malattia del corpo. Per mezzo di un angelo tu hai portato fuori dai vincoli della prigione il principe degli apostoli; tu hai liberato Paolo, apostolo e araldo della Chiesa, dalla punizione dell'imperatore Nerone; ora libera il tuo servo N.dal dolore che l’opprime. Tu hai liberato da Patmo e da Artemide il tuo amico che pose il suo capo sul tuo petto, l’amato Giovanni il teologo; tu hai salvato il saggio Noè dal terribile e distruttore diluvio: stendi ora la tua destra invisibile e spirituale e fa’ risorgere il tuo servo N. dall’angoscia. Tu hai liberato da ogni pena e affanno l’ospitale e giusto Abramo; tu hai rialzato dal letame Giobbe che ha combattuto innumerevoli lotte: fa’ alzare ora il tuo servo N. dalla malattia corporale che l’opprime. Tu haichiamato dall’Egitto il legislatore e sommamente giusto Mosè; tu hai salvato il tuo amato figlio Israele dalla pessima e malvagia servitù dell’amarissimo Faraone: aiuta ora il tuo servo
N. , spegni la febbre, mitiga il dolore, scaccia maligna debolezza e rialza il tuo servo
N. dal letto dei dolori e dal giaciglio dei mali. Tu hai salvato Giacobbe dalla mano di Esaù; tu hai dato la vista a Tobia e gli hai donato la luce; tu hai salvato l’ottimo Giuseppe malamente venduto da esseri fratricidi e malvagi; tu hai salvato dalla mano di Saul il sapiente David, mirabile profeta: tu ora compatisci, compassiona, solleva, custodisci, tieni lontano da ogni male anche il tuo servo N.che giace nella prostrazione e ha bisogno della tua pietà. Tu hai salvato il giustissimo profeta Daniele dalla terribile rapacità dei leoni; tu hai strappato Geremia dal tenebroso e oscuro burrone; tu hai salvato dalla fornace riscaldata sette volte i tre fanciulli Ananìa, Misaìl e Azarìa e hai mutato il fuoco in rugiada: tu stesso allontana anche il tuo servo N.dal dolore che l’opprime. Tu hai illuminato gli occhi dei ciechi; tu hai purificato le carni dei lebbrosi; tu hai fatto risuscitare i morti: fa’risorgere, fa’ rivivere anche ora e non retribuirci secondo i nostri peccati. Tu hai guarito il paralitico con laparola; tu hai guarito l’emorroissa; tu hai curato l’indemoniato: tu, o sovrano, abbi pietà. Ti prego: muovitia compassione. Ti supplico: abbi misericordia. Ti scongiuro, come magnanimo, non farmi scendere vivonegli inferi, ma tu stesso fammi risorgere con la tua destra invisibile e spirituale. Nostra Signora di Grecia,stendete il vostro manto! Santi tre giovani che avete spento la fornace di Babilonia e santi sette giovani diEfeso, risorti dai morti, date il vostro aiuto! Santi nove martiri che avete operato prodigi in Cìzico, santi diecimartiri che avete lottato a Creta, santi quaranta martiri che avete fatto miracoli a Sebaste, santi trentatremartiri di Roma, santi centonovantanove martiri di Taormina, santi trecentodiciotto Padri ispirati da Dio cheavete dettato dogmi divini a Nicea, san Teraponte di Smirne, san Partenio di Lampsaco, san Giuliano diCesarea, san Leonzio di Tripoli, san Demetrio di Tessalonica, san Giorgio di Cappadocia, santi anargiri Cosmae Damiano, Pantaleo ed Ermolao, Ciro e Giovanni, Sansone e Diomede, Floro e Lauro, sant’Andrònico esanta Atanasìa, santi Gùria, Samonà e Avìv che avete strappato la fanciulla dalla tomba e l’avete riportata inpatria; sant’Acìndino previeni; sant’Antonio proteggi; sant’Elpidifòro fa’ risorgere; sant’Anempòdisto nontrascurare; sant’Agapito del Sinai, san Nicola di Mira, san Basilio di Cesarea, sant’Epifanio di Cipro, san
Giovanni Crisostomo, san Gregorio d’Agrigento, san Leone di Catania che hai vinto il mago Eliodoro, santiTirso, Leucio e Filemone, santi Alipio e Procopio, sant’Anastasìa Sciogliveleni, santa Barbara, santa Marina,santa prima martire Tecla, santa Caterina di Alessandria, san Filippo Cacciaspiriti, san Pancrazio di Taorminache hai battuto Falcone e Lissone, santi profeti, apostoli, martiri, monaci e giusti, tutte le potenze celesti deisanti angeli e arcangeli, principati, potenze, cherubini dai molti occhi, serafini dalle sei ali, potenzaincomprensibile della preziosa e vivificante croce, prostratevi, scongiurate l’unico misericordioso Dioperché doni al servo di Dio
N. salute, salvezza e liberazione dai mali che l’opprimono; scacciate dal servo diDio
N.la febbre, febbre interna di brivido violento, di brivido breve, di brivido esiziale, malattia funesta,malattia grave, malattia terribile sopravvenuta, inviata e fatta. Vi esorcizzo, settantadue infermità che ha l’uomo, perché vi allontaniate dal servo di Dio
N.; che l’infermità non sia scesa dal cielo, dalle stelle, dal sole, dalla luna, da ombra di nuvola, da gelida aria, da tuono, lampo, terremoto, strepito o collassi, da monti, valli, dirupi o pendii, da colle, campo o pianura, da pietra, acqua, fonte, strada, fiume, campagna,campo, recinto, orto, giardino; che l’infermità non sia venuta a tentare il servo di Dio N.in qualche bivio, in entrate o uscite, bagno, forno, mulino, porta, finestra, tetto, cantinati o cortili. Che qualche incantatore perinvidia non l’abbia eseguita e procacciata per veleno di gelosia, occhio, cattivo augurio, malocchio: noninfiammazione, rigonfiamento, mal di testa o di mani, cuore e piedi. Apparizioni demoniache, miraggi dimorti, anarade e nereidi che volano nelle tenebre: non venite a far opera ingiusta sul servo di Dio N.Non mal di testa, occhi, denti, petto, cuore, mani; non difficoltà d’urina, emorroidi, placenta, colica, dolore di giunture, insonnia o letargia. Vi esorcizzo per tutto ciò che offende il servo di Dio N.; ritiratevi e andatevene nei monti selvaggi, chiunque incombe sul servo di Dio N.e lo danneggia. Ritiratevi e andate via, nei montiselvaggi, non nei capelli, o nel cervello, nel cranio, nella nuca, nella fronte, nelle tempie, nelle palpebre,nella mente, nelle narici, nelle orecchie, nella bocca, nei molari, nelle labbra, nei denti, nel collo, nellescapole, nel petto, nel sangue, nel cuore, in qualsiasi umore, nella spina dorsale, nell’ombelico, nel ventre,nelle ginocchia, vertebre, dita, unghie. Chiunque mai incomba e si nasconda per danneggiare: ritirati e va’via, che non l’abbia fatto un estraneo o un parente, un incantatore velenoso, una strega, un mago, unuomo invidioso. Esorcizzo tutti voi, mali impuri, nel grande nome del Signore nostro Gesù Cristo: per il suoimmacolato capo e la sua potente destra, ritiratevi dal servo di Dio. Ti scongiuro per colui che sospese laterra sulle acque; ti scongiuro per colui che fondò i cieli su inaccessibili orbite; ti scongiuro per il tronoinconcusso di Dio; ti scongiuro per le beate potenze degli eserciti incorporei; ti scongiuro per i quattroarcangeli Michele, Gabriele, Uriele e Raffaele; ti scongiuro per i ventiquattro vegliardi che servono presso il trono di Dio; ti scongiuro per i dodici apostoli: esci e ritirati dal servo di Dio N.e donagli salute, o sovrano Signore, donagli vita, pace, lunghi giorni, affinché sia glorificato il tuo santissimo nome, del Padre, del Figlio e del Santo Spirito; ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin